Con sempre maggior frequenza, sui banchi dei supermercati e nei negozi specializzati si trovano prodotti “senza glutine” rivolti a chi soffre di celiachia.
La celiachia è un’intolleranza alimentare permanente, geneticamente determinata, nei confronti di alcuni peptidi del glutine, principale riserva proteica del frumento e contenuto anche nella segale, orzo, farro, kamut. Fa eccezione l’avena che è stata recentemente reintrodotta nella dieta in soggetti celiaci in quanto recenti studi hanno dimostrato che non determina danno istologico alla mucosa dell’intestino tenue.
Lo spettro clinico di questa patologia è estremamente eterogeneo con quadri che vanno da drammatiche condizioni generali rare come il malassorbimento, a sintomi clinici sfumati.
Il glutine, indispensabile sia per la crescita del germoglio sia per la panificazione in virtù del suo potere addensante (dal greco glùo=colla), è poco digeribile e a contatto con la mucosa intestinale viene assorbito sotto forma di macromolecole tra cui alcune frazioni peptidiche (31-43, 33-mer), responsabili del danno tissutale e di una conseguente risposta immunitaria nei soggetti geneticamente predisposti. In questi si verifica la produzione di autoanticorpi specifici anti-gliadina (AGA) proteina del frumento, anti-TG (enzima transglutaminasi) e anti-endomisio (EMA); questi ultimi sono autoanticorpi diretti contro antigeni della matrice del collagene.
Le frazioni peptidiche del glutine agirebbero come veri e propri antigeni, che vanno a innescare la risposta anticorpale. Si spiegherebbero così, da un lato, l’atrofia dei villi intestinali e l’iperplasia delle cripte intestinali.
La celiachia viene oggi considerata una patologia autoimmune e non è un caso se spesso si ritrova associata con altre malattie autoimmuni quali tiroidite, diabete mellito di tipo 1, con i quali condivide i medesimi geni e la medesima risposta immunitaria o in altre condizioni, come la sindrome di Down.
Oltre alla celiachia tipica vi sono altre forme che colpiscono un numero minore di persone con sintomi extra-intestinali (oltre che intestinali) come bassa statura, anemia, osteoporosi, artralgie, dermatite, autismo, depressione, irritabilità, carenza di ferro o addirittura con assenza di sintomi con solo lievi alterazioni della mucosa intestinale (celiachia silente) e quindi evidenziabile solo grazie a uno screening di popolazione.
Negli ultimi anni la celiachia si sta diffondendo a macchia d’olio, anche in aree che fino a qualche anno fa ne sembravano immuni. Un vero e proprio fenomeno di massa tuttavia “sommerso “ in quanto nonostante il notevole incremento dei mezzi di diagnosi, essa è ancora ampiamente sotto diagnosticata. La predisposizione genetica ha un ruolo di primo piano ma a scatenare la sindrome alimentare possono essere anche infezioni virali e batteriche, stress, gravidanza.
Inoltre c’è da considerare il fatto che in Italia, patria della dieta mediterranea, negli ultimi anni il grano è stato sottoposto a manipolazione genetica, per evidenti ragioni industriali. Infatti anticamente il chicco conteneva solo 2 cromosomi, ora ne contiene addirittura 6 per cui l’esposizione al glutine risulta aumentata sensibilmente.
Se la celiachia non viene diagnosticata tempestivamente e soprattutto in modo corretto può evolvere verso gravi complicanze: il quadro clinico, essendo simile a quello del colon irritabile, può generare errori di diagnosi.
I test di laboratorio sono fondamentali per il suo inquadramento e spesso sono in grado di individuare segni clinici subdoli e di non facile interpretazione. La biopsia duodenale è l’approccio conclusivo e deve essere eseguita sulla base delle indicazioni fornite dai test di laboratorio (test di primo livello) ai quali è possibile affiancare la tipizzazione genetica, soprattutto nei casi pediatrici (test di secondo livello). La diagnosi si basa sulla ricerca degli anticorpi specifici anti-TG, anti-EMA, anti-AGA. (Gli anticorpi anti-EMA sono evidenziabili con la metodica della immunofluorescenza indiretta).
Diversamente da altre patologie autoimmuni, la celiachia è curabile nella quasi totalità dei casi con l’unica misura a tutt’oggi valida: la prevenzione.
La prevenzione si basa sulla dieta gluten-free a vita che porterà a una normalizzazione della mucosa intestinale nel giro di circa 12 mesi. Avendo la malattia anche ripercussioni socio-economiche è più che mai importante una diagnosi precoce e corretta che consentirà di ridurre notevolmente il costo a carico del servizio pubblico, dal momento che il trattamento dei pazienti celiaci non necessita di farmaci o esami particolari, ma appunto di una dieta specifica.
Dottoressa Gabriella De Vito
Specialista in Allergologia
Svolge attività di consulenza nell’ambito del servizio di Allergologia Pediatrica
BIOSdiagnostica – Via D. Chelini 39, Roma
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